Medioevo

<

>Incerta è l’origine di Candidoni come centro abitato, ma a buon ragione si può supporre che esso è sorto intorno all’anno 1000 come casale della vicina cittadina di Borrello che pur essa, intorno a tale data, è stata edificata dai Normanni: gli uomini del nord. Il paese legherà per molti secoli le sue vicende alla storia di questa illustre città. Si potrebbe inoltre ipotizzare una origine più remota collegata alle incursioni Musulmane del IX secolo, quando le orde islamiche, distruggendo le città litoranee calabrese, costringevano gli abitanti a rivolgersi verso l’interno più sicuro ed inaccessibile, dando così vita a vari borghi e piccoli villaggi. Di certo sappiamo che nel 1054 Candidoni fu acquistata da Unfredo, nobile normanno, il quale poi la cedette al fratello Roberto, il quale nel 1056 diventò primo conte di Calabria. Rimase sotto il dominio di questa famiglia anche durante buona parte del Regno Svevo, fino a quando fu sottoposta alla Signoria del nobile guerriero Gualtiero Appard, che fu pure ministro dell’imperatore Federico II. Questi ne mantenne il possesso fino al 1277. Alla morte di Appard, la contea di Borrello con i relativi Casali: Candidoni, Serrata, Laureana, Bellantone, Stelletanone e Vasia furono confiscati a favore della corona, passando così sotto la diretta amministrazione da parte della Corte di Carlo D’Angiò , il quale, dieci anni prima, aveva imposto la fosca dominazione Angioina nella Calabria. In tale periodo, mancando in luogo il titolare o un assegnatario,molti nobili si contesero i possedimenti del Feudo con tenacia e ostinazione. Fra questi ricordiamo Carnelavario, Pellegrino e Filippo Borrello che riuscirono ad appropriarsi della Signoria sino a quando Carlo D’Angiò assegno tutte queste terre a Tommaso D’Argot. Successivamente le terre furono infeudate a Ruggerio di Lauria e ai suoi discendenti. Quindi le tennero i Baroni di San Severino fino al 1401 quando furono evocate dal Re Carlo del ramo dei Durazzo D’Angiò. Il periodo Angioino fu particolarmente infelice per la popolazione Calabrese. Questa fu oppressata dalle lotte senza quartiere perpetrate dalle nobile famiglie Angioine contro i propri sovrani allo scopo di aumentare il proprio potere. Tutto ciò gravava pesantemente sulla popolazione afflitta anche da una gravosa pressione fiscale imposta dai dominatori che impedì ogni sviluppo economico e civile. Il termine ‘ngiuinu (angioino) ancora oggi indica in Calabria una persona crudele, a ricordo di quella dominazione, sotto la quale però la Regione cominciò a prendere parte alla storia del sud. Nel 1492 Alfonzo I, detto il magnanimo, entrò solennemente a Napoli e ne prese possesso. Cominciarono così per tutto il Sud i 70 anni di dominazione Aragonese.. In questo periodo, dopo varie vicende, Candidoni il 10 febbraio 1449 fu ceduta a Giovanni D’Alagno, poi nel 1479 insieme a Borrello, Mileto, Rosarno e Gioia ed altri feudi fu assegnata al Conte Arcamone Agnello Reggio consigliere e ambasciatore di Napoli a Venezia e a Roma, dietro pagamento di 80.000 Ducati. Avvenne, però, che il Conte Agnello insieme al cognato, il Segretario Petrucci, presero parte alla famosa congiura dei Baroni, ordita dai Nobili allo scopo di uccidere il Re Ferrante (Ferdinando I di Aragona, figlio illegittimo e successore di Alfonzo). La congiura fu sventata, molti nobili furono esiliati o giustiziati e le loro terre passarono nuovamente alla corona sotto il dominio diretto del Sovrano. Anche in questo periodo diffuso fu il malcontento della popolazione oppressa da un’altra forte oppressione fiscale da parte dei feudatari che badavano esclusivamente ai propri interessi e privilegi. Questi privi di ideali politici furono una vera forza anarchica che rese povera e difficile la vita delle genti calabresi, che furono inoltre vessate da continue ingiustizie sociali. In questo periodo l’unica voce di protesta che si alzò fu quella di San Francesco di Paola che animato da un grande senso di giustizia umanitaria predicò l’umiltà e la povertà. Fra gli innumerevoli miracoli che a Lui si attribuiscono c’è quello dei “Pani” che Egli operò nelle immediate vicinanze del nostro paese. Trovandosi sulla vecchia strada che dalla contrada Mottola porta al Fondovalle Misuri incontrò dei Contadini che si recavano a lavoro nelle terre. Chiese loro un pò di cibo e dato che costoro non ne avevano benedisse le loro bisacce da cui uscirono dei pani profumati tanto da sembrare appena sfornati. Continuando sulla via percorse per intero quella vecchia stradina che ancora oggi, in suo onore, porta il nome di San Francesco.>